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Dotty

Siamo sdraiate sul letto.
Guarda verso l’alto, unico modo in cui diventa visibile quella piccolissima cicatrice che le ha
lasciato la sua prima discesa in bici da grande.
Con una carezza sul mento rammento l’accaduto. Mi dice che ricorda la caduta e poi io che le
canto la sigla di “Dottoressa Peluche” finché la medicano.
“Dottoressa Peluche?”.
“Sì mamma. Ero piccola e mi piaceva tantissimo quel cartone. Finché mi medicavano mi cantavi la
sigla”.
Per me è vuoto.
Ricordo di quel piccolo incidente Giulio in fascia, Zeno in passeggino e lei davanti in bici, orgogliosa
di andare veloce. Poi la discesa, fatta tra mento e ginocchia.
Stefano che la recupera in braccio.
Qualcuno che ci riporta la sua biciclettina.
Intervento tempestivo di due vicine di camper, infermiere, che la medicano.
Ricordo la difficoltà a tenerla seduta e il suo pianto.
Non mi ricordo di aver cantato.
Ma lei è sicura.
Mi rende dettagli precisi e ride ancora pensando a me che le canto “Dotty” per farla stare
tranquilla.
Per lenire il dolore.
Perché le passi la paura.
Perché si fidi di queste due donne che in francese e con una dolcezza infinita, questo lo ricordo
perfettamente, si prendono cura di lei.
Di quel che la mia mente conserva di quella mezz’ora non c’è traccia di me che canto.
Tante immagini, ma nessun suono se non quello del suo pianto.
Steri-strip applicata con maestria, ma non la mia voce.
Un cerottone enorme che le copre il mento, ma nessuna canzone.

Cinque anni dopo lei di tutto questo mi racconta altro.
Penso al potere che hanno per i bambini la voce, i baci dati su una ferita, le carezze che si fermano
su una botta.
E poi penso a chissà quante volte avrò cantato, baciato e accarezzato senza magari raggiungere
l’obiettivo. Limiti a volte inevitabili.
Si mette a cantare “ridi pure un pochino se ti faccio il solletichino…”… e tutto finisce in una partita
di solletico…