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Piangevamo tanto?

“Mamma, anche noi piangevamo così?”
E’ seduta sulle mie ginocchia, ormai ci sta così poche volte e per così poco tempo che mi gusto ogni istante. Siamo in campeggio, e qualche piazzola più in là un bambino o una bambina piange.

“Sì Sofia, anche tu… anche voi”.

immagine tratta da periodofertile.it

immagine tratta da periodofertile.it

Mi verrebbe da dirle che lei ha pianto più di tutti e tre, che neppure sommando il pianto dei suoi fratelli arriviamo a quel che ha pianto lei… principalmente perché è arrivata da due genitori totalmente impreparati che ci hanno messo un tempo lungo a capire, a capirsi.
“Ma piangevamo tanto?”
La avvicino, reclinandola, cercando di tenerla raccolta in braccio, proprio in questi giorni in cui ho notato che si sta allungando, lei ride, capisce cosa voglio fare e tenta di contenersi per “tornare indietro”.
“Si. Sofia, ricordo la nostra prima vacanza, in hotel, avevi poco più di sei mesi. Ti svegliavi presto, prima che a casa” (sono sempre i figli degli altri quelli che vanno al mare e dormono…) “e iniziava la sirena. Così per non svegliare l’intero piano papà ti metteva in fascia e ti portava a passeggio”.
Si immagina… e se la ride.
Anche io adesso rido. Allora no.
Avevo appena iniziato a prendere le misure della maternità e la vacanza ti… mi… ha scombussolata.
Speravo che cambiare aria ci facesse bene, e mi ritrovavo invece a far più fatica che a casa.
“Beh, anche adesso mi sveglio presto”.
Sì, è vero, alle sei o anche prima si sveglia. Ma adesso si alza, si prende un libro e legge… e aspetta anche un’ora, quando tutti ci svegliamo, per fare la colazione.
E fa tanta differenza da quando in un tempo pari a zero voleva ciucciare o alzarsi per giocare.
Qualche mamma del cerchio ogni tanto mi chiede se non rimpiango quando erano piccoli.
A dirla tutta, no.
Mi mancano alcuni momenti di pura tenerezza, adesso difficilmente riproducibili, ma mi piace vederli crescere.
Guardarli ogni giorno diventare via via più protagonisti del loro presente.
Accompagnarli più che contenerli.
Ascoltare e parlare, senza dover indovinare cosa c’è che non va (fino all’adolescenza in cui probabilmente dovremo ricominciare a fare gli indovini…).
Lasciare uno spazio che possa essere riempito da altro.
E’ una cosa che adoro, e me ne rendo conto soprattutto in questo ultimo periodo, in particolar modo con lei che è la più grande.
E’ forse il venir meno dell’onnipotenza e dell’onnipresenza genitoriale – materna soprattutto – che avrà certamente i suoi svantaggi – mi risuona la voce di mia nonna che amava ripetere “Fioi piccoli, problemi piccoli, fioi grandi, problemi grandi”- ma che qualche vantaggio lo porta sicuramente. E come sempre, ogni cosa a suo tempo, a suo modo.
Inizio a farle il solletico, ride ancora.
“Mamma, mi pettini?”.
Si rimette sulle ginocchia. Nel frattempo nessuno piange più. E dal vialetto arriva una mamma con bambino, avrà quattro cinque mesi a vederlo da come sbuca dalla fascia.
Non resisto e le sorrido.
Lei: “E’ l’unico modo per calmarlo”.
“Lo so, l’ho usata con tutti e tre”. Glielo dico perché il tono della sua voce e il suo sguardo sono
quelli di chi si deve in qualche modo scusare.
Lei sorride. “Non mi fermo altrimenti riprende a piangere, ciao…”
Lo so anche questo.
Nessuno si ferma mai. E’ il cammino della genitorialità. Si prosegue, sempre.
A volte si piange, tanto.
Ma si trovano i modi per proseguire, per crescere. Tutti, genitori e figli.

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